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L’ABBOZZO DI UN METODO

11.01.1998

L’apertura dell’anno giudiziario è l’occasione in cui il procuratore generale della Cassazione seppellisce sotto palate di pessimi numeri la situazione della giustizia. Processi interminabili, reati non perseguiti, responsabilità non individuate. Ieri, tuttavia, il procuratore Ferdinando Zucconi Galli Fonseca non si è limitato a formulare una diagnosi infausta. Ha proposto invece anche alcune linee di una soluzione «riformista», indicando empiricamente alcuni obiettivi e qualche strumento per approssimare una condizione migliore della giustizia italiana. Forse ha anche indicato qualcosa di più: l’abbozzo di un metodo. È utile sottolineare parola per parola le mete auspicate: cioè la fine della «durata intollerabile dei processi», una magistratura «che svolge nel silenzio il suo ruolo di pacificazione», senza populismi e politicizzazioni, il bando ai «processi anticipati» celebrati in tv e sui giornali, tutto questo in modo che i cittadini riacquistino verso la giustizia «la fiducia che avevano smarrito». Basta l’elencazione di questi obiettivi per mostrare con crudezza la gravità della situazione corrente. Al punto che non è affatto esagerata la diagnosi secondo cui dal punto di vista della giustizia il nostro non è un paese a tutti gli effetti europeo. Convenzionale pessimismo di ogni anno? In realtà, secondo il procuratore della Cassazione è possibile tracciare alcune direttrici che orientino verso una giustizia più efficace. Sembra di notare infatti nelle sue parole una specie di «possibilismo»: non ci sono rifiuti o scomuniche a priori sulle ipotesi di riforma della magistratura, anzi, viene più volte espresso l’augurio che le innovazioni costituzionali e le riforme processuali possano avere un effetto migliorativo. Lascia quindi il segno, il discorso di Galli Fonseca, perché non contiene unzioni corporative, e non esprime gelosie settoriali rispetto alla politica. Il procuratore non esita a segnalare «la scompostezza e l’inopportunità di alcune esternazioni di singoli magistrati, i quali vorrebbero porsi come interlocutori diretti dell’opinione pubblica». Esamina e discute le riforme progettate dalla Bicamerale senza mai eccepire integralisticamente alle scelte formulate dai costituenti: è – per fortuna – il frutto di una visione «laica» della giustizia, senza fondamentalismi e senza arroccamenti particolaristici. Se la giustizia nelle società moderne ha la tendenza a oscillare di continuo fra potere e funzione, si ha l’impressione che il procuratore generale della Cassazione ne colga soprattutto l’aspetto funzionale, lasciando da parte solennità liturgiche e dignità castali. Nelle parole del procuratore si prospetta una giustizia pragmatica, «semplice e rapida», che deve fare i conti con i grandi numeri, con tre milioni di reati denunciati ogni anno. Ecco allora che bisogna collocare le idee e le proposte di Galli Fonseca su questo sfondo di pragmatismo per comprenderne adeguatamente anche la proposta più inattesa, quella riguardante l’introduzione della somministrazione controllata della droga ai tossicodipendenti. È possibile che l’idea verrà discussa con toni accalorati, e che si facciano sentire soprattutto le convinzioni pregiudiziali. Ma l’ipotesi suggerita dal procuratore generale dovrebbe invece essere discussa con molta attenzione. Intanto perché viene formulata da un magistrato di lunga esperienza, esponente di una cultura aliena dagli estremismi. E subito dopo perché ripropone nella discussione pubblica un tema su cui finora si sono sentite soprattutto le campane di chi sostiene opposti ideologismi: i «proibizionisti», che puntano sulla repressione del traffico di droga e sul recupero dei singoli tossicodipendenti; i «liberalizzatori», secondo i quali il libero commercio delle droghe pesanti libererebbe d’incanto le società avanzate dalla criminalità grande e piccola legata alla realtà della droga. La proposta di Galli Fonseca mette in luce che il mondo non è una sequenza in bianco e nero ma una eterna successione di grigi. Così come la separazione delle carriere non è, o non dovrebbe essere, un tema di ortodossia politico-dottrinaria, così anche la politica giudiziaria contro la droga può contemplare pluralità di strumenti e gradualità di applicazioni. Se si tratta di trovare un punto in cui spezzare la catena dell’illegalità, sono benemeriti coloro che intervengono alla fine della catena, raccogliendo e confortando un individuo prostrato dall’eroina, ma si può anche tentare di intervenire prima, modulando in modo opportuno repressione e sostegno. L’unica precauzione raccomandabile, in ogni caso, è quella di non fissarsi sulle posizioni preconcette. Visto che ci si può dividere fra il partito dei giudici e il partito degli antigiudici, fra il partito della somatostatina e quello della chemioterapia, ci si potrà anche dividere pro o contro la somministrazione controllata della droga. Ma sarebbe opportuno che comunque, su questo tema come sugli altri sollevati da Galli Fonseca, si tenessero in considerazione gli obiettivi da raggiungere e non i dogmi da onorare.

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