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FATICA PER LA VITTORIA

02.05.1996
ATTUALITA' SPECIALE ELEZIONI

Ma sarà poi stato così conveniente il tentativo di demolizione sistematica praticato nei confronti di Romano Prodi? Si direbbe di no. Anzi, forse fra gli errori del Polo bisognerà catalogare anche la scelta del bombardamento distruttivo contro gli avversari. Era già successo con Umberto Bossi, subito dopo il ribaltone. Giuda, traditore, ladro di voti: e adesso Braveheart festeggia la sua vendetta. E il professore, alias la "mortadella dal volto umano", il "simpatico ciclista", il "Balanzone", la "maschera di D’ Alema", "l’utile idiota", "l’economista da balera", il "licenziatore", eccolo proiettato verso Palazzo Chigi. Ieri lo davano tutti per spacciato. In realtà era solo impacciato. E si capisce perché. Per tutta la sua vita pubblica, Prodi aveva goduto di ambienti consensuali, dove anche i suoi inciampi di lessico venivano interpretati come hegeliana "fatica del concetto", sintomi di profondità e ricchezza di pensiero. Diceva "… La Germania", e tutti – dai piastrellai di Sassuolo agli inviati dell Economist – si sforzavano di capire che intendeva il capitalismo renano, la triade governo-sindacato-banche, la materna guida della Cdu, il federalismo ben ordinato, la pazienza tedesca. Ma non appena la lotta politica è entrata nel vivo, non gli è stato concesso più nulla. Hic Rhodus, hic salta: fisco, disoccupazione, Europa, modelli istituzionali, e vogliamo i dettagli, non allusioni ispirate. Prodi ci ha messo un anno per rendersi ragione del fatto che non era più l’immagine vivente del proprio successo: che non era più né il democristiano onesto né l’accademico suadente capace di spiegare al popolo i misteri della triste scienza. Insomma che era precipitato nella dimensione politica e ne sarebbe uscito solo vittorioso o sconfitto, non con l’invenzione estemporanea di una battuta, né con un richiamo ai valori della competenza o a superiori standard etici. Anche nell’ ultimo confronto televisivo, venerdì 19 aprile, varie volte si è fatto prendere da una ingenua indignazione, rivolgendosi a Enrico Mentana per confutare le parole di Silvio Berlusconi (chiamandolo in modo disarmante "lui", come per segnalare all’ arbitro un fallo tattico che dettava un’istintiva reazione morale). Molto più scafato, forse già rassegnato, il Cavaliere gli ha opposto: "Non perda la calma, Prodi… Se dovrà governare di calma dovrà averne molta". In modo inconsapevole Berlusconi ha colto un punto significativo. Il candidato Prodi stava facendo da mesi un mestiere non suo, combatteva un’aspra battaglia inattesa, dopo avere scoperto con stupore misto a disappunto che in politica le virtù possono essere peccati, e viceversa. Ma superata questa fase conflittuale, Prodi torna a casa sua, circondato dalla sua coalizione, protetto dai partiti che l’hanno sostenuto, aiutato prevedibilmente da strutture consolidate: non è difficile immaginare che almeno all’ inizio il Consiglio dei ministri gli apparirà un ambiente accogliente, esente da contestazioni e critiche. Perché la lotta politica è dura e sgradevole, mentre l’esercizio del governo è un piacere quasi fisico, da condurre con calma padana e sovrana. E con una soddisfazione aggiuntiva, preziosa, impagabile: di essere stato giudicato perdente in quasi tutte le partite e di avere vinto alla fine il campionato. Per un vecchio ragazzo dell’oratorio, c’è un piacere migliore del portar via la vittoria dopo che tutti hanno criticato il gioco, all’ ultimo minuto?

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