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Fare i conti con l’odio

16/09/2004

Il sequestro di Simona Pari e Simona Torretta è l’addio alle favole umanitarie. Noi siamo i nemici. Tuttavia l’emozione suscitata dal rapimento di due donne non occulta il fatto che c’è una strategia feroce, una regia brutale, una rottura radicale dei codici di comportamento. Qualcuno ha dichiarato la guerra contro di noi, e manda a dire che tutte le armi sono utilizzabili. Ma se ciò liquida le illusioni sul ruolo italiano in Iraq, è anche una conferma che gli stereotipi sulla "resistenza" irachena, come se fosse composta da intrepidi cavalieri dell’identità nazionale, sono carta straccia. Tempi difficili per la sinistra sentimentale, antiamericana, affetta secondo i falchi dal caratteristico masochismo dei pacifisti. Sul "manifesto" Riccardo Barenghi ha dato un calcio al formicaio scrivendo che preferisce l’occupazione americana ai tagliatori di teste. Un segnale "cattivo" rispetto alle analisi di maniera l’avevano mandato gli assassini di Enzo Baldoni: un pacifista no global vale un militare o un bodyguard armato. La strage nella scuola di Beslan ha squinternato gli schemi giustificazionisti, perchè nemmeno il pugno di ferro di Vladimir Putin e il controllo dei media può nascondere l’evidenza: ossia che anche in Cecenia il nazionalismo frustrato è stato contaminato dall’islamismo omicida. Ecco dunque problemi intellettuali drammatici. Sullo sfondo del Meeting delle religioni a Milano, il cardinale Renato Martino ha dichiarato che con gli eventi di Beslan il mondo contemporaneo è scivolato nella quarta guerra mondiale, una guerra "senza schemi, terribile, diffusa, frammentata". A sua volta, un politico e intellettuale come Giuliano Amato ha rotto un altro fronte, sostenendo che di fronte all’"ineludibile richiamo di Beslan" la sinistra non deve più concedere alibi a nessuno: "Di questo terrorismo non si può non essere nemici. Quali che siano gli errori che vengono commessi nel fronteggiarlo". Qualcuno a sinistra identificherà le parole di Amato come una pietra dello scandalo. Perchè gli eventi terroristici sono sempre stati interpretati come un eccesso di risposta, da parte di avanguardie attive in realtà dominate dallo scontro fra occupanti e insorti. In Israele, dove continuano gli attentati suicidi patrocinati da Hamas, così come in Iraq, dove i tagliatori di teste sono stati considerati una forma di resistenza all’occupazione militare guidata dagli angloamericani. Con quel che segue: lo slogan "Una, cento, mille Nassiriya" gridato nei cortei; gli italiani sequestrati dalle Brigate del Profeta trattati alla stregua di vittime di seconda scelta; la soddisfazione malcelata per ogni disastro iracheno che possa contribuire a "fottere Berlusconi", come ha rilevato sul "Corriere della Sera" Angelo Panebianco. E più in generale un sentimento di indulgenza verso qualsiasi forma di rivolta contro l’oppressione occidentale, il tallone capitalista, l’impero delle multinazionali. Ma di per sè anche le analisi come quelle di Amato sono elusive. Parlare genericamente di "terrorismo" significa accettare l’idea che sono i cattivi a organizzarsi per produrre malefatte; che gente senza scrupoli, svincolata da ogni criterio etico, sta disintegrando qualsiasi soglia morale in vista dei propri obiettivi politici. Indicare il "terrorismo" come il nemico supremo significa accreditare la nozione che nuclei maligni, esenti da qualsiasi razionalità politica, stiano complottando in segreto contro la civiltà. Così concepito, il "terrorismo" è un’astrazione. Qualcosa che non esiste. Mentre esistono entità terroristiche concrete che hanno dichiarato la guerra contro l’Occidente: e di questa dichiarazione ostile ci sono le tracce documentali. E allora occorre decidere quale sia il modello di analisi che accettiamo. Certo non quello di Oriana Fallaci, ossia la pura invettiva anti-islamica. Neppure il cartoon dottrinario animato dal bestseller di Robert Kagan "Paradiso e potere", che descrive come in un fumetto il mondo marziano e hobbesiano dell’America contro il mondo kantiano e venusiano dell’Europa. E nemmeno gli apologhi da bar di Silvio Berlusconi sull’inferiorità della civiltà musulmana. Ma di fronte alle forzature dei neoconservatori americani, ai modellini geopolitici sull’esportazione della democrazia, e davanti alla durezza semantica di Giuliano Ferrara, bisognerebbe avere qualche ragione seria da opporre: ad esempio per trattare nel modo adeguato "l’islamizzazione a tappe forzate del martirio ceceno, divenuto uno dei fronti nichilisti della guerra religiosa islamica contro l’Occidente e concretamente contro la vita dei passeggeri della metropolitana di Mosca, contro il volo dei passeggeri dell’Aeroflot, contro il volo dei bambini dell’Ossezia nel primo giorno di scuola". Aggiungiamoci l’orrore dello stupro simbolico rappresentato dal rapimento di due giovani volontarie e sarà difficile continuare a nutrire l’idea illusoria di un diritto conculcato che si trasforma in doverosa lotta contro l’oppressione. Nonostante i pudori che inducono intellettuali e politici progressisti a rifiutare il "bad dream" di Samuel Huntington sulle guerre di civiltà, occorre il realismo sufficiente per riconoscere che c’è una guerra e qualcuno l’ha dichiarata. Basta rivedere i video e riascoltare gli mp3 registrati da Osama Bin Laden per prendere atto di una ricostruzione storica secolare in cui si stagliano le Crociate, Lepanto, la fine dell’Impero ottomano. Si tratterà di un’ossessione islamica, della mitologia elaborata su una frustrazione: eppure su questa favola nera è stato costruito l’odio verso "i crociati e gli ebrei" che sfrutterebbero il mondo musulmano, impoverendolo e privandolo della sua libertà. A dispetto dei suoi tratti irrazionali, il terrorismo nichilista contagia le marginalità sociali dell’islamismo nelle società europee, si avvale della simpatia delle "masse islamiche" per qualsiasi impresa contro il Satana americano, capitalizza i successi come dimostrano le feste palestinesi per gli Scud sulle case israeliane nella prima guerra irachena nel 1991, o l’entusiasmo serpeggiante per l’abbattimento delle Torri gemelle, dieci anni dopo. » per questo che la parola "terrorismo" risulta imprecisa o svagata. Abbiamo visto i sequestratori uccidere i bambini con cui avevano passato ore e ore. Le vedove nere farsi esplodere per provocare deliberatamente una strage di innocenti. Assistiamo alla paurosa vicenda di due donne neanche trentenni finite nella oscura vertigine della prigione e del ricatto politico. L’opposizione oscilla fra il tutti a casa e una permanenza umanitaria che non è ben chiaro come possa essere difesa. Intanto però sarà il caso di non parlare più di dolore che diventa vendetta, di frustrazione che diventa odio. Se questa è una guerra, bisognerà guardarla fino in fondo: e usare i concetti della politica per capire che di fronte all’abisso della ferocia non valgono giustificazionismi, teorie rassicuranti, proiezioni eufemistiche. Ci vuole il senso della realtà. E la realtà non è fatta per piacere a tutti.

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